CAPITOLO XXVI No no, don Diego così, sotto la minaccia di restar solo la notte, - non poteva più oltre durarla. Già per procacciarsi il sonno e risparmiare a l Alletto il fastidio dei pizzicotti, beveva un pochettino oltre la misura che s era imposta da tanti anni, e questo rimedio dannoso non gli garbava: quel bicchierotto di giunta gli sapeva1 amaro e lo ingollava per forza. - La medicina per il sonno, don Pepè! - diceva a cena. - Speriamo che questa notte faccia effetto. Faceva effetto a principio; ma poi, nel cuor della notte, destandosi, le ambasce2 ricominciavano. E allora, pian piano, pazienza: ancora un pizzicotto a don Pepè. - Daccapo! Vi riesce star fermo? - Scusatemi, don Pepè. Volevo domandarvi una cosa. - Che cosa? Dormite! - Non posso, se non mi levo un dubbio che m è nato or ora, pensando. Ma dovete dirmi la verità! Durante la mia malattia, voi foste o almeno vi mostraste tanto buono verso di me, ricordo... Sempre qua, in casa mia, notte e giorno... Bene: franco, eh? in qualche momento di distrazione... voi, con Stellina... - Siete pazzo? - gli gridava Pepè. - No, abbiate pazienza: non me n importerebbe nulla, ormai. Trapianterei quietamente il corno su la testa di don Ciro. Io me ne sono sgabellato3. Ditemi la verità! 1 gli sapeva: gli pareva avesse sapore. 2 ambasce: affanni. 3 sgabellato: liberato. 167