LO ZUFOLO Servendosi del fucile come di un bastone, Melitòn Sciskin stava cercando di aprirsi un varco in direzione del termine del bosco. Era il fattore dell azienda agricola di Dementiev ed era adesso distrutto dal caldo torrido che stagnava nella boscaglia di abeti, oltre a essere ricoperto di ragnatele e di aghi di pino. Dietro di lui arrancava la sua brava Damka, un incrocio tra un cane da pagliaio e un setter, magra da far paura e anche incinta, che teneva la coda zuppa tra le gambe e prestava grande attenzione a non ferirsi il naso. Era una di quelle mattine plumbee, quando l umidità è tale che si alza persino la nebbia e cadono gocce d acqua dagli alberi e dalle felci, mentre tutto, intorno, odora di putredine. Al margine della boscaglia, attraverso i tronchi e i rami delle betulle, si poteva vedere che non vi era che foschia sul terreno aperto. C era qualcuno, dietro le betulle, che stava suonando uno di quegli zufoli fatti a mano, così diffusi tra i pastori: le note uscivano a gruppi di cinque o sei, ed erano prolungate con indifferenza, senza che diventassero mai un motivetto, eppure da quella sorta di pigolio emergeva un sentimento di solennità e di profonda angoscia. Appena Melitòn giunse al termine del bosco, dove le betulle si mescolavano agli abeti, poté vedere una mandria. C erano cavalli con i finimenti, mucche e pecore, tutti intenti a pascolare nel sottobosco, pestando rami e annusando l erba. Proprio sul bordo della macchia, un pastore anziano 251