Caryl Chessman E POI SI MUORE Quando noi europei guardiamo al Paese più ammirato e desiderato, gli USA, facciamo fatica a capire come sia possibile difendere i diritti umani e avere un sistema penitenziario con più di due milioni di detenuti e quasi quattromila condannati a morte in attesa di esecuzione, la maggior parte dei quali di colore. L impressione è quella di un mondo in cui la pena capitale sia un provvedimento drastico e sbrigativo, che non costituisce una soluzione per drammatici problemi sociali. Ancora oggi sono trentotto gli Stati degli USA che, con vari sistemi, applicano la pena capitale. Quanto dura la giornata di un uomo che attende per anni l arrivo della fine annunciata? E quali sono i diversi modi di affrontare la morte? A queste domande risponde l autore nel brano qui presentato, drammatico nella prosa stringata, ma non privo di profondità soprattutto nella descrizione del momento del trapasso. Il giovane Caryl Chessman (1921-1960) fu protagonista di un clamoroso processo giudiziario. Dopo un infanzia e un adolescenza difficili, condannato a morte in base a semplici indizi, per rapina e omicidio, seppe, per dodici anni, tenere a bada con la sua autodifesa l imponente apparato della giustizia americana. In carcere scoprì e perfezionò le capacità di scrittore e fece dare alle stampe articoli, trattati e diversi libri, quasi tutti semiautobiografici, fra cui Cella 2455, braccio della morte (1954), Tradito dalla legge (1956) e Il volto della giustizia (1957). Le sue opere mobilitarono l opinione pubblica, denunciando le contraddizioni della società statunitense, che non gli perdonò il duro atto di accusa e riuscì a mandarlo nella camera a gas di San Quintino (CA). da C. Chessman, La legge mi vuole morto, Milano, Rizzoli, 1955, trad. it. di U. Tolomei 295